Per 40 anni, il punto di riferimento dei giovani arbitri del Sud Italia è stato lui, Ninì Ardito. Un anno fa ci ha lasciati, ma il suo esempio è vivo per molti fischietti cresciuti alla sua ombra. Non ebbe una carriera lunghissima, in Serie A ci rimase appena sei anni, di cui la metà passati anche in ambito internazionale. Molto più lunga e prolifica fu la sua vita da formatore – istruttore, in giro per le palestre d’Italia, pronto a dare il consiglio giusto e a trasmettere la sua passione e la sua conoscenza delle regole: ufficialmente è durata dal 1974 al 1998, ma è proseguita ben oltre.
Nato nel 1933 ad Ottaviano, in Campania, si interessò al basket per caso: andava a vedere il Napoli Calcio e qualcuno tirava a canestro alle spalle dello stadio. Giocò senza ambizioni, fu dirigente, poi nel 1960 il presidente degli arbitri campani, Dante Sangiorgio, scommise che lo avrebbe convinto ad arbitrare. «Iniziai a livello regionale, ma arrivai presto in alto. Per riuscirci ci vuole talento, e occorre coltivarlo e allenarlo. Poi ci vuole una grande passione e un pizzico di fortuna», ricordava lui in un’intervista a la Repubblica.
Dalle giovanili arrivò ad arbitrare anche Milano-Varese, una classica della massima serie, e anche una settantina di partite internazionali. È considerato uno dei più grandi arbitri e istruttori della nostra pallacanestro e ha arbitrato nei Campionati Europei Juniores di Zara (1971) e Backa Topola (1972). Questi sono i meriti sul campo che gli sono valsi l’ingresso nella Hall of Fame nel 2010, ma c’è ben altro.
Definito «gigante del basket» da Dan Peterson, malgrado la bassa altezza e la stazza non da figurino, passò dal campo alla tribuna e alla palestra per formare e seguire schiere di nuovi direttori di gara, fondamentali per la crescita del nostro sport. La sua impronta e il suo esempio rimangono e rimarranno in molti ambiti della formazione del CIA: «Rimanevo incantato quando parlava – ricorda un arbitro passato dalla sua “scuola” –, lui insegnava l’arbitraggio, non semplicemente le regole: è molto diverso».
«Non smetto mai di ringraziare Dante Sangiorgio per aver vinto quella scommessa – Ardito chiuse così quell’intervista a la Repubblica –. Senza il basket sarei stato un semplice cittadino, questo sport mi ha dato tutto, mi ha fatto girare l’Europa e conoscere persone straordinarie. Io ho dato qualcosa alla pallacanestro, lei però mi ha dato tutto ciò che sono oggi».
Roberto Quartarone
Twitter: @rojoazul86
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