È sempre vivo l’esempio di Ninì Ardito

MILANO 13 MARZO 2011 FIP HALL OF FAME NELLA FOTO PASQUALE ARDITO FOTO CIAMILLO


Per 40 anni, il punto di riferimento dei giovani arbitri del Sud Italia è stato lui, Ninì Ardito. Un anno fa ci ha lasciati, ma il suo esempio è vivo per molti fischietti cresciuti alla sua ombra. Non ebbe una carriera lunghissima, in Serie A ci rimase appena sei anni, di cui la metà passati anche in ambito internazionale. Molto più lunga e prolifica fu la sua vita da formatore – istruttore, in giro per le palestre d’Italia, pronto a dare il consiglio giusto e a trasmettere la sua passione e la sua conoscenza delle regole: ufficialmente è durata dal 1974 al 1998, ma è proseguita ben oltre.
Nato nel 1933 ad Ottaviano, in Campania, si interessò al basket per caso: andava a vedere il Napoli Calcio e qualcuno tirava a canestro alle spalle dello stadio. Giocò senza ambizioni, fu dirigente, poi nel 1960 il presidente degli arbitri campani, Dante Sangiorgio, scommise che lo avrebbe convinto ad arbitrare. «Iniziai a livello regionale, ma arrivai presto in alto. Per riuscirci ci vuole talento, e occorre coltivarlo e allenarlo. Poi ci vuole una grande passione e un pizzico di fortuna», ricordava lui in un’intervista a la Repubblica.

Dalle giovanili arrivò ad arbitrare anche Milano-Varese, una classica della massima serie, e anche una settantina di partite internazionali. È considerato uno dei più grandi arbitri e istruttori della nostra pallacanestro e ha arbitrato nei Campionati Europei Juniores di Zara (1971) e Backa Topola (1972). Questi sono i meriti sul campo che gli sono valsi l’ingresso nella Hall of Fame nel 2010, ma c’è ben altro.
Definito «gigante del basket» da Dan Peterson, malgrado la bassa altezza e la stazza non da figurino, passò dal campo alla tribuna e alla palestra per formare e seguire schiere di nuovi direttori di gara, fondamentali per la crescita del nostro sport. La sua impronta e il suo esempio rimangono e rimarranno in molti ambiti della formazione del CIA: «Rimanevo incantato quando parlava – ricorda un arbitro passato dalla sua “scuola” –, lui insegnava l’arbitraggio, non semplicemente le regole: è molto diverso».
«Non smetto mai di ringraziare Dante Sangiorgio per aver vinto quella scommessa – Ardito chiuse così quell’intervista a la Repubblica . Senza il basket sarei stato un semplice cittadino, questo sport mi ha dato tutto, mi ha fatto girare l’Europa e conoscere persone straordinarie. Io ho dato qualcosa alla pallacanestro, lei però mi ha dato tutto ciò che sono oggi».
Roberto Quartarone
Twitter: @rojoazul86

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